IL TRIBUNALE Sulla richiesta di rinvio a giudizio come articolata dal p.m. in riferimento alle posizioni di Raimondi Giuseppe, nato ad Adelfia (Bari) il 6 novembre 1948, Cetta Angelo, nato a Roma il 26 dicembre 1950, Morlino Pasquale, nato a San Severo (Foggia) il 23 marzo 1941, Cugini Antonella, nata a Varese il 29 maggio 1962, Barone Luigi, nato a Minervino Murge (Bari) il 30 gennaio 1952, Ferrara Vito, nato a Triggiano (Bari) il 6 febbraio 1953, Alde' Emanuele, nato a Lecce il 13 ottobre 1929. Rilevato che i difensori hanno richiesto emettersi pronunzia ex art. 425 c.p.p. sul rilievo della intervenuta prescrizione dei reati contestati ai capi A-B-C come maturata a seguito della introduzione della novella legislativa 5 dicembre 2005, n. 251. Considerato che i difensori hanno articolato le loro richieste sul rilievo che per taluni capi di imputazione i termini di prescrizione del reato erano gia' maturati all'atto della richiesta di rinvio a giudizio pervenuta presso questo ufficio in data 5 dicembre 2005, sottoscritta dal p.m. titolare delle indagini in data 30 novembre 2005, vistata dal procuratore aggiunto in data 1° dicembre 2005, laddove calcolati in assenza di atti interruttivi del corso della prescrizione nel senso tipizzato dal disposto di cui all'art. 160 c.p. Precisato che i rilievi difensivi in ordine al decorso dei termini per la prescrizione del reato sono conseguenti alla applicazione in materia di successione di leggi delle prescrizioni di cui all'art. 2 c.p., in quanto la nuova legge, resa con provvedimento 5 dicembre 2005, n. 251, risulta essere, in specifico riguardo ai termini di prescrizione per i reati in imputazione, piu' favorevole agli imputati, dovendosi considerare - pacificamente - l'istituto della prescrizione di natura sostanziale. Rilevato che non si ravvisano in atti in riguardo alle posizioni di Raimondi Giuseppe, Baroni Luigi, Ferrara Vito, Cetta Angelo, Cugini Antonella, Morlino Pasquale, Alde' Emanuele, limitatamete alle contestazioni sub A-B-C, atti interruttivi riconducibili alla tipizzazione effettuata dal disposto di cui all'art. 160 c.p. del decorso della prescrizione. Osservato che l'unico atto di iniziativa del p.m. inoltrato agli imputati interessati al maturarsi dei termini della prescrizione e' l'avviso di conclusione indagini spedito alle date dell'8 aprile 2005 in riguardo a tutti gli imputati. Rilevato che l'avviso di conclusione indagini non e' tra gli atti tipici indicati dal disposto di cui all'art. 160 c.p. quali atto interruttivo del corso della prescrizione. O s s e r v a La tematica che questo giudice e' chiamato ad affrontare in riferimento alla richiesta di rinvio a giudizio articolata dal p.m. afferisce specificamente alla permanenza dell'interesse punitivo statuale, al quale e' correlato, intermini contrapposti, l'interesse delle persone imputate a vedere esclusa ogni richiesta di loro punizione a seguito del maturarsi di un tempo congruo dalla consumazione del reato, nel corso del quale lo Stato, tramite gli Organi deputati all'esercizio dell'azione penale, ovvero alle indagini, o, infine, anche al giudizio nelle fasi successive all'esercizio dell'azione penale, hanno serbato un atteggiamento di inerzia. La questione e' del tutto indipendente dal punto di vista teorico, dalla nuova normativa in termini di prescrizione dei reati dettata con la novella 5 dicembre 2005, n. 251, ben potendo ogni ordinamento statuale indicare i termini oltre i quali ritiene di non avere piu' interesse alla punizione del colpevole a seconda di quelli che si stimano essere, in quel determinato momento storico, gli interessi tutelabili con il ricorso alla norma penale. In tema di prescrizione e, in particolare di atti interruttivi del corso della prescrizione, si insegna a cura dei classici, e cosi' nel costante orientamento pervenuto a cura del supremo Collegio, che allorquando l'inerzia serbata da parte dell'organo titolare dell'azione penale e delle indagini si protragga, cio' palesi una assenza di persistenza nello Stato dell'interesse punitivo. Stretto corollario di tale principio e' che taluni atti, specificamente quelli tipizzati dal disposto di cui ai comuni I e II dell'art. 160 c.p., siano ritenuti sintomatici, invece, di un permanere nello Stato dell'interesse punitivo. E cosi', atti tipizzati dalle norme teste' richiamate, altro non sono che atti che presuppongono lo svolgimento di attivita' processuale da parte di organi giudiziari, nella specie da parte del p.m., del g.i.p. del g.u.p. del tribunale, soltanto in tal modo rimanendo palesata la volonta' dello Stato, espressa attraverso i suoi organi, di proseguire nella pretesa punitiva. Che tali siano i presupposti che regolano la ratio della prescrizione e degli atti interruttivi del corso della stessa e' palesato da due diversi ordini di pronunzie della suprema Corte, rese l'una in tema di atto interruttivo nullo, e l'altra in tema di interrogatorio delegato dal p.m. alla polizia giudiziaria. In detti casi il supremo Collegio ha rispettivamente affermato ricorrere e non ricorrere la interruzione del corso della prescrizione. Piu' precisamente nel primo caso, ha indicato Cass. Pen., Sez. V, n. 1387 del 2 febbraio 1999, che, «In tema di interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacita' di conseguire lo scopo. Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell'interesse punitiva. Nel secondo caso, Cass. Pen. Sez. II n. 5173 del 6 febbraio 2001 ha indicato che «L'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini effettuato dalla polizia giudiziaria, a cio' delegata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 370 cod. proc. pen., non e' atto idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, atteso che l'elencazione degli atti cui tale effetto e' riconnesso, contenuta nell'art. 160 cod. pen., deve considerarsi tassativa e che non e' consentita in materia penale l'interpretazione analogica in malam partem. A conferma di detto orientamento sono intervenute le sezioni unite della suprema Corte che, con decisione resa in data 11 settembre 2001, n. 33543 hanno indicato che «L'interrogatorio dell'indagato, effettuato dalla polizia giudiziaria per delega del pubblico ministero ai sensi dell'art. 370 cod. proc. pen., non e' atto idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, non rientrando nel novero degli atti, produttivi di tale effetto, indicati nell'art. 160, comma II, cod. pen. e non essendo questi ultimi suscettibili di ampliamento per via interpretativa, stante il divieto di analogia in malam partem materia penale». Quanto precede rende evidente che l'efficacia interruttiva del corso della prescrizione e' dal legislatore affidata, alla stregua della interpretazione che della volonta' del legislatore ne ha dato il supremo organo regolatore del diritto, unicamente a quegli atti che, per quanto eventualmente nulli, traducano la palese intenzione dello Stato, per provenire da organi giurisdizionali, di non rinunziare alla pretesa punitiva. Puo' dirsi pertanto, che l'intima essenza della individuazione da parte del legislatore dell'atto interruttivo del corso della prescrizione e la ratio della previsione vadano individuate proprio nell'iniziativa all'assunzione dell'atto da parte dell'organo giurisdizionale, iniziativa che traduce e palesa il permanere dell'interesse statuale alla pretesa punitiva, organo giurisdizionale coincidente, per la gran parte degli atti tipizzati dal disposto di cui al cpv. dell'art. 160 c.p., con il titolare dell'esercizio dell'azione penale e delle indagini, ovvero ancora con il g.i.p., il g.u.p., il giudice del dibattimento. Orbene, nell'ambito di tale sistema organico e bilanciato tra pretesa punitiva dello Stato, manifestazione di tale pretesa da parte dell'organo giurisdizionale in grado di esprimere e di palesare la detta valonta' statuale, ed interesse dell'imputato o dell'indagato al venir meno della pretesa punitiva per il decorso del tempo, e' stato inserito, con la novella in data 16 dicembre 1999, n. 479, l'istituto dell'avviso di conclusione indagini di cui all'art. 415-bis c.p.p. Trattasi di atto ad iniziativa del p.m. con il il quale il detto organo comunica alla persona sottoposta ad indagini ed al suo difensore della conclusione di indagini a suo carico, con cio' formulando sostanzialmente, rectius, anticipando concretamente, l'accusa nei confronti della persona, dovendo l'avviso contenere la sommaria enunciazione del fatto per cui si procede, delle nome di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con le indicazioni riferite alle indagini espletate. Trattasi di indicazioni come si e' detto sostanzialmente assimilabili allo contestazione del fatto al quale e' formalmente preposta la richiesta di rinvio a giudizio ovvero gli atti di esercizio dell'azione penale. Non puo' omettersi di osservare che l'avviso di conclusione indagini, nel sistema delineato dal legislatore del 1999, riveste la precipua funzione di avviso all'indagato di quanto fino a quel punto delle indagini emerso a suo carico, prima dell'esercizio dell'azione penale, e, quindi, della assunzione della qualita' di imputato, specificamente finalizzata a consentire l'apporto al procedimento della voce dell'indagato in chiave difensiva, al fine di evitare l'esercizio dell'azione penale e la assunzione della qualita' di imputato qualora i fatti indicati dal p.m. possano essere chiariti, nel senso della esclusione della loro rilevanza penale, ovvero della riconducibilita' degli stessi all'indagato, in chiave difensiva. Trattasi comunque di atto che traduce una sicura iniziativa del p.m. nel senso palese del passaggio dalla fase delle indagini a quella dell'esercizio dell'azione penale, dopo che il detto organo ha valutato insussistenti - fino a quel punto, ed in assenza del contributo dell'indagato - le condizioni per procedere alla richiesta di archiviazione. In definitiva, nel sistema conseguente all'intervento legislativo comunemente noto come «legge Carotti» l'avviso di conclusione indagini si profila come essenziale ed univoco atto di iniziativa del p.m. che, prima dell'esercizio dell'azione penale, e proprio e specificamente in vista dell'esercizio dell'azione penale stessa, pena la nullita', deve comunicare all'indagato ed al suo difensore i risultati delle indagini con quella che altro non e' - sostanzialmente - che una anticipazione di quella contestazione formale che, nel caso si dovesse pervenire effettivamente all'esercizio dell'azione penale, si avra' con tale atto. Ne consegue che, appare incongruo che un tal genere di atto, in tutto rispondente ai criteri che hanno determinato il legislatore del 1930 ad individuare gli atti interruttivi per la loro specifica natura di palesare il permanere dell'interesse statuale alla pretesa punitiva, non sia ricompresso nella elencazione di cui all'art. 160 c.p. tra gli atti interruttivi. La assenza della indicazione di tale atto nel corpo dell'art. 160 c.p. puo' essere agevolmente spiegata con il mancato coordinamento tra la disposizione introdotta nel 1999 con la legge n. 479 ed il codice di diritto sostanziale. Nondimeno, non pare possa pervenirsi ad una interpretazione estensiva della norma di cui all'art. 160 c.p., individuando tra gli atti interruttivi del corso della prescrizione anche l'avviso di conclusione indagini, risolvendosi l'analogia in una interpretazione in malam partem che non pare possa passare attraverso l'applicazione dell'istituto da parte del giudice di merito. Del bel resto la tematica e' stata posta anche innanzi al supremo Callegio, pervenendosi di fatto ad interpretazioni nettamente confrastanti, passandosi da una pronunzia resa da Cass. Pen. Sez. V, n. 10395 del 16 marzo 2005, con la quale si indicava che «L'avviso di conclusione delle indagini, ex art. 415-bis cod. proc. pen., che il p.m. deve notificare all'indagato ed al suo difensore, se non deve formulare richiesta di archiviazione, e, quindi, se intende esercitare l'azione penale, costituisce atto interruttivo della prescrizione, stante, il disposto dell'art. 160 cod. pen., che prevede quale atto interruttivo «l'invito a presentarsi al p.m. per rendere interrogatorio», corrispondente alla previsione di cui al citato art. 415-bis nella parte in cui dispone che il suddetto avviso deve contenere l'avvertimento che «l'indagato ha facolta' di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio»; ad altra resa da Cass. Pen., sez. V, n. 16197 del 29 aprile 2005, in cui si indicava che «L'avviso di conclusione delle indagini preliminari risponde ad una finalita' eminentemente informativa, sicche' non puo' essere ritenuto equipollente agli atti interruttivi della prescrizione individuati tassativamente dalle disposizioni dell'art. 160 cod. pen., che sono insuscettibili di applicazione analogica. Infine a Cass. Pen., Sez. V, n. 29505 del 4 agosto 2005 a mente della quale «L'avviso di deposito degli atti di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen. costituisce valido atto interruttivo della prescrizione, considerato che esso deve, tra l'altro, contenere «L'avvertimento che l'indagato ha facolta' di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio», il quale integra la causa interruttiva prevista dall'art. 160, comma secondo, cod. pen. - costituita dall'invito «a presentarsi al p.m. per rendere l'interrogatorio» - originariamente riferibile solo alla previsione di cui all'art. 375 cod. proc. pen. ed a seguito della modifica dell'art. 416, comma primo, cod. proc. pen. (novellato dall'art. 17 della legge n. 479 del 1999) riferibile anche all'art. 415-bis cod. proc. pen.». Ma a ben vedere, a parte l'evidente contrasto di orientamenti riportato, non puo' non rilevarsi come il supremo Collegio, individuata la necessita' di assimilare l'avviso di conclusione indagini ad uno degli atti interruttivi di cui all'art. 160 c.p. per la evidente unicita' di ratio e di funzioni tra l'avviso di conclusione indagini e gli altri atti interruttivi indicati dall'art. 160 c.p., abbia tentato di assimilare l'avviso di conclusione indagini agli atti interruttivi, evitando di pervenire espressamente ad una analogia in malam partem, impossibile nella interpretazione della norma pena, e cio' realizzando mediante la assimilazione dell'avvertimento all'indagato della facolta' di rendere interrogatorio, contenuto nell'avviso di conclusioni indagini, all'invito a presentarsi al p.m. per rendere interrogatorio di cui all'art. 375 comma terzo c.p.p., tipizzato dal disposto di cui al cpv. dell'art. 160 c.p. tra gli atti interruttivi del corso della prescrizione. Non puo' non rilevarsi pero' la differenza tra i due istituti dell'avvertimento all'indagato che ha facolta' di chiedere di essere interrogato di cui al comma terzo dell'art. 415-bis c.p.p. e l'invito a presentarsi per rendere interrogatorio di cui agli artt. 375 comma III c.p.p. e 160 comma II c.p. Ed invero, a parte la considerazione che l'essenza dell'avviso di conclusione indagini non puo' essere individuata in tale avvertimento, essendo indicate le reali funzioni dell'avviso di conclusione indagini nel disposto del comma secondo dell'art. 415-bis c.p.p., laddove le indicazioni riferite all'avvertimento alla facolta' di chiedere di essere interrogato sono poste nel comma terzo dell'art. 415-bis c.p.p., che declina le indicazioni che l'avviso deve «altresi» contenere, non vi e' chi non veda come una cosa sia, specie sotto il profilo della iniziativa e dell'interesse dello Stato alla pretesa punitiva, l'invito a presentarsi per rendere interrogatorio innanzi al p.m. di cui all'art. 375, comma terzo c.p.p. altra cosa e' l'avvertimento all'indagato che puo' chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, tipizzato dall'art. 415-bis, comma terzo c.p.p. Peraltro, la differenza tra i due diversi istituti e' del tutto chiaramente percepibile dalla successiva disposizione di cui all'art. 416, c.p., che, nell'indicare le cause di nullita' della richiesta di rinvio a giudizio, individua quella della mancata notifica dell'avviso di conclusione indagini e quella della omessa spedizione dell'avviso a presentarsi al p.m. per rendere l'interrogatorio nel caso in cui l'indagato abbia richiesto di essere interrogato, con cio' stesso operandosi nella detta norma una netta distinzione tra avvertimento all'indagato della facolta' di chiedere di essere interrogato, ed invito a presentarsi per rendere interrogatorio. Piu' precisamente, la nullita' della richiesta di rinvio a giudizio e' in termini espressi comminata unicamente nelle due ipotesi dell'omessa spedizione dell'avviso di conclusione indagini e dell'omesso inoltro dell'invito a presentarsi per rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375 comma terzo c.p.p., qualora la persona sottoposta ad indagini abbia richiesto di essere sottoposta ad interrogatorio. Del resto la differenza tra invito a presentarsi per rendere interrogatorio ed avvertimento all'indagato che ha facolta' di richiedere di essere interrogato si apprezza, con specifico riferimento alla permanenza dell'interesse dello Stato alla pretesa punitiva, gia' sul piano ontologico: ed invero, ai fini di escludere l'inerzia del p.m. rilevante ai fini della individuazione degli atti interruttivi del corso della prescrizione secondo la ratio imposta dal legislatore del codice di diritto sostanziale, una cosa e' da parte del p.m. invitare l'indagato a presentarsi per rendere interrogatorio, altra e ben diversa e' quella di avvertire l'indagato che ha facolta' di rendere interrogatorio. Non vi e' chi non veda, infatti, come, invitare l'indagato a rendere interrogatorio sia attivita' che traduce una sicura iniziativa del p.m., che attraverso l'interrogatorio dell'indagato intende acquisire elementi valutabili nel procedimento, con cio' palesando un sicuro interesse dello Stato alla pretesa punitiva; laddove, invece, avvertire l'indagato che ha facolta' di richiedere di essere interrogato non evidenzia e non palesa - e pertanto sotto tale profilo non puo' essere apprezzato - alcun interesse investigativo o comunque processuale o di iniziativa da parte dell'organo statuale, trattandosi di un mero atto dovuto di segnalazione - appunto avvertimento, come l'uso del termine suggerisce - in ordine alla informazione all'indagato di una facolta' che in nessun caso puo' essere assimilata - proprio sotto il profilo ontologico - ad iniziativa del p.m. Tanto che, esaurito l'avvertimento, da un lato, sotto il profilo della iniziativa, e' l'indagato a dover assumere, appunto, l'iniziativa di richiedere di essere interrogato; dall'altro lato, sotto il profilo delle conseguenze dell'atto, solo l'esercizio della facolta' da parte dell'indagato, impone al p.m. di provvedere alla spedizione dell'invito a presentarsi di cui all'art. 375 comma terzo c.p.p. Laddove, invece, e per converso, sotto il profilo della iniziativa del p.m. e, quindi, della permanenza (dell'interesse statuale alla pretesa punitiva, sempre sotto il profilo ontologico, indubbio ed indiscusso interesse palesa la spedizione dell'avviso di conclusione indagini, atto, pero', come si e' visto, non ricompreso nella elencazione di cui all'art. 160 c.p. in riferimento agli atti interruttivi del corso della prescrizione e non individuabile in via analogica. Sulla scorta delle premesse teoriche svolte, ritiene questo decidente che la mancata previsione nel disposto di cui all'art. 160 c.p. dell'avviso di conclusione indagini quale atto interruttivo del corso della prescrizione, si risolva in una ingiustificata diversita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche per ratio e natura, rilevante ex art. 3 e 111 Cost. Ed invero, sul presupposto indicato nel disposto di cui al cpv. dell'art. 111 Cost. di uguaglianza delle parti del procedimento davanti al giudice terzo ed imparziale, non puo' non accordarsi analoga parita' anche ad una parte del procedimento, quale e' il p.m., in riferimento a situazioni sostanzialmente analoghe. L'escludere, infatti, dal novero degli atti interruttivi del corso della prescrizione un atto di iniziativa tipicamente del p.m., in tutto identico quanto a natura e funzioni in riguardo alla prescrizione, agli altri atti tipici indicati dall'art. 160 c.p., nel senso di atto anche questo che palesa univocamente l'interesse dello Stato alla pretesa punitiva, quale e', appunto, l'avviso di conclusione indagini di cui all'art. 415-bis c.p., si risolve in una ingiustificata disparita' di trattamento tra le parti del procedimento, realizzandosi concretamente la prevalenza tra i contrastanti interessi rappresentati dall'imputato/indagato alla estinzione del reato per decorso del tempo, e dallo Stato, impersonato dal p.m. che quell'inerzia e quel disinteresse alla pretesa punitiva non ha palesato, anzi ha inteso contrastate, tanto da notificare all'indagato l'atto strettamente propedeutico ed assolutamente preliminare all'esercizio dell'azione penale rappresentato dall'avviso di conclusione indagini, in favore dell'indagato a discapito dell'altra parte processuale e cioe' del p.m. Ritiene questo decidente che la situazione innanzi indicata integri proprio una disparita' di trattamento tra le parti processuali in aperto contrasto con l'espresso disposto di cui all'art. 111 comma II Cost., che appunto quella assoluta uguaglianza tra le parti del procedimento sancisce, anche in adesione al piu' generale principio di cui all'art. 3 Cost. Quanto ai limiti del giudizio di costituzionalita' in riguardo ai parametri della rilevanza della questione e della fondatezza, va osservato che, sotto il primo dei segnalati profili, la detta rilevanza si coglie pienamente ove si consideri che e' in corso di celebrazione l'udienza preliminare e si verte in fase di decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio articolata dal p.m., dopo che si e' gia' svolta la discussione delle parti. A mente dell'art. 425 c.p.p., qualora sussista una causa che estingue il reato - e tale non puo' non essere la prescrizione invocata dai difensori degli imputati - questo giudice dovrebbe pronunziare sentenza di non luogo a procedere per tale causa. Nel caso concreto, indipendentemente dalle valutazioni di merito che attengono alla fondatezza della richiesta del p.m., e che saranno valutate successivamente, le questioni che riguardano la eventuale esistenza di cause di estinzione del reato devono essere - qualora esistenti - immediatamente dichiarate. La invocata esistenza della causa di estinzione del reato costituita dalla prescrizione in riguardo alle fattispecie sub A-B-C ha immediata e diretta rilevanza sul giudizio in corso, in definitiva dalla stessa dipendendo la stessa esistenza del reato e la stessa prosecuzione del giudizio penale. La richiesta di rinvio a giudizio degli imputati e' stata messa dal p.m. in data 30 novembre 2005, con timbro di visto da parte del procuratore aggiunto in data 1° dicembre 2005. A quella data i reati di cui ai capi A-B-C risultavano, nel nuovo ed immediatamente successivo assetto legislativo sopra richiamato, estinti per prescrizione in assenza di precedenti atti interruttivi, essendo stati consumati alle date del 26 luglio 1999 (capo A), del 24 settembre 1999 (capo B), del 7 ottobre 1999 (capoC). Qualora si riconnettesse efficacia interruttiva della prescrizione all'avviso di conclusione indagini, emesso dal p.m. in data 8 aprile 2005, si sarebbe verificato prima del maturarsi del termine breve di prescrizione un atto interruttivo del decorso dei termini di prescrizione che imporrebbe di considerare alla data odierna e per altro tempo ancora i reati non estinti per prescrizione. Consegue, quindi, che sulla tematica come sopra svolta, assoluta pertinenza e preliminare preponderanza assume il giudizio di costituzionalita' dell'organo costituzionale a cio' preposto. Quanto alla fondatezza, si e' gia' riferito sopra nell'esame della questione, peraltro proposta d'ufficio da questo giudice. Considerata pertanto la questione sopra esaminata non manifestamente infondata e rilevante nell'ambito del presente procedimento, consegue doverosamente l'inoltro degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione.