IL TRIBUNALE

    Sulla  richiesta di rinvio a giudizio come articolata dal p.m. in
riferimento  alle  posizioni  di  Raimondi  Giuseppe, nato ad Adelfia
(Bari)  il  6 novembre 1948, Cetta Angelo, nato a Roma il 26 dicembre
1950,  Morlino Pasquale, nato a San Severo (Foggia) il 23 marzo 1941,
Cugini Antonella, nata a Varese il 29 maggio 1962, Barone Luigi, nato
a  Minervino  Murge  (Bari)  il 30 gennaio 1952, Ferrara Vito, nato a
Triggiano  (Bari) il 6 febbraio 1953, Alde' Emanuele, nato a Lecce il
13 ottobre 1929.
    Rilevato  che  i difensori hanno richiesto emettersi pronunzia ex
art. 425  c.p.p. sul rilievo della intervenuta prescrizione dei reati
contestati  ai  capi A-B-C come maturata a seguito della introduzione
della novella legislativa 5 dicembre 2005, n. 251.
    Considerato  che  i  difensori hanno articolato le loro richieste
sul  rilievo  che  per  taluni  capi  di  imputazione  i  termini  di
prescrizione  del  reato erano gia' maturati all'atto della richiesta
di  rinvio  a  giudizio  pervenuta  presso  questo  ufficio  in  data
5 dicembre  2005,  sottoscritta  dal  p.m. titolare delle indagini in
data  30  novembre  2005,  vistata  dal  procuratore aggiunto in data
1° dicembre  2005,  laddove calcolati in assenza di atti interruttivi
del  corso della prescrizione nel senso tipizzato dal disposto di cui
all'art. 160 c.p.
    Precisato  che  i  rilievi  difensivi  in  ordine  al decorso dei
termini   per   la  prescrizione  del  reato  sono  conseguenti  alla
applicazione in materia di successione di leggi delle prescrizioni di
cui all'art. 2 c.p., in quanto la nuova legge, resa con provvedimento
5 dicembre  2005,  n. 251,  risulta  essere, in specifico riguardo ai
termini  di  prescrizione per i reati in imputazione, piu' favorevole
agli  imputati,  dovendosi  considerare  - pacificamente - l'istituto
della prescrizione di natura sostanziale.
    Rilevato  che non si ravvisano in atti in riguardo alle posizioni
di  Raimondi  Giuseppe,  Baroni  Luigi,  Ferrara  Vito, Cetta Angelo,
Cugini Antonella, Morlino Pasquale, Alde' Emanuele, limitatamete alle
contestazioni   sub   A-B-C,  atti  interruttivi  riconducibili  alla
tipizzazione  effettuata  dal  disposto  di cui all'art. 160 c.p. del
decorso della prescrizione.
    Osservato  che l'unico atto di iniziativa del p.m. inoltrato agli
imputati  interessati  al maturarsi dei termini della prescrizione e'
l'avviso di conclusione indagini spedito alle date dell'8 aprile 2005
in riguardo a tutti gli imputati.
    Rilevato che l'avviso di conclusione indagini non e' tra gli atti
tipici  indicati  dal  disposto  di  cui all'art. 160 c.p. quali atto
interruttivo del corso della prescrizione.

                            O s s e r v a

    La  tematica  che  questo  giudice  e'  chiamato ad affrontare in
riferimento  alla  richiesta di rinvio a giudizio articolata dal p.m.
afferisce  specificamente  alla  permanenza  dell'interesse  punitivo
statuale,  al quale e' correlato, intermini contrapposti, l'interesse
delle  persone  imputate  a  vedere  esclusa  ogni  richiesta di loro
punizione   a  seguito  del  maturarsi  di  un  tempo  congruo  dalla
consumazione  del  reato,  nel  corso del quale lo Stato, tramite gli
Organi   deputati   all'esercizio  dell'azione  penale,  ovvero  alle
indagini,   o,  infine,  anche  al  giudizio  nelle  fasi  successive
all'esercizio  dell'azione  penale, hanno serbato un atteggiamento di
inerzia.
    La  questione  e'  del  tutto  indipendente  dal  punto  di vista
teorico,  dalla  nuova normativa in termini di prescrizione dei reati
dettata  con  la  novella  5  dicembre 2005, n. 251, ben potendo ogni
ordinamento  statuale indicare i termini oltre i quali ritiene di non
avere piu' interesse alla punizione del colpevole a seconda di quelli
che  si  stimano  essere,  in  quel  determinato momento storico, gli
interessi tutelabili con il ricorso alla norma penale.
    In  tema  di  prescrizione e, in particolare di atti interruttivi
del corso della prescrizione, si insegna a cura dei classici, e cosi'
nel  costante orientamento pervenuto a cura del supremo Collegio, che
allorquando   l'inerzia   serbata   da   parte  dell'organo  titolare
dell'azione  penale  e  delle  indagini si protragga, cio' palesi una
assenza  di  persistenza nello Stato dell'interesse punitivo. Stretto
corollario  di  tale  principio  e'  che  taluni atti, specificamente
quelli  tipizzati  dal disposto di cui ai comuni I e II dell'art. 160
c.p., siano ritenuti sintomatici, invece, di un permanere nello Stato
dell'interesse punitivo.
    E  cosi', atti tipizzati dalle norme teste' richiamate, altro non
sono   che   atti  che  presuppongono  lo  svolgimento  di  attivita'
processuale  da parte di organi giudiziari, nella specie da parte del
p.m.,  del  g.i.p.  del  g.u.p.  del  tribunale, soltanto in tal modo
rimanendo  palesata  la  volonta'  dello Stato, espressa attraverso i
suoi organi, di proseguire nella pretesa punitiva.
    Che  tali  siano  i  presupposti  che  regolano  la  ratio  della
prescrizione  e  degli  atti  interruttivi  del corso della stessa e'
palesato da due diversi ordini di pronunzie della suprema Corte, rese
l'una  in  tema  di  atto  interruttivo  nullo,  e l'altra in tema di
interrogatorio  delegato  dal p.m. alla polizia giudiziaria. In detti
casi il supremo Collegio ha rispettivamente affermato ricorrere e non
ricorrere la interruzione del corso della prescrizione.
    Piu' precisamente nel primo caso, ha indicato Cass. Pen., Sez. V,
n. 1387  del  2 febbraio  1999,  che,  «In tema di interruzione della
prescrizione   del   reato,   va   riconosciuta   anche   agli   atti
processualmente  nulli  la capacita' di conseguire lo scopo. Gli atti
interruttivi  della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in
quanto denotano la persistenza nello Stato dell'interesse punitiva.
    Nel  secondo caso, Cass. Pen. Sez. II n. 5173 del 6 febbraio 2001
ha   indicato  che  «L'interrogatorio  della  persona  sottoposta  ad
indagini  effettuato  dalla  polizia giudiziaria, a cio' delegata dal
pubblico  ministero  ai  sensi  dell'art. 370 cod. proc. pen., non e'
atto  idoneo  ad interrompere il corso della prescrizione, atteso che
l'elencazione  degli  atti  cui tale effetto e' riconnesso, contenuta
nell'art. 160  cod.  pen.,  deve  considerarsi tassativa e che non e'
consentita  in  materia  penale  l'interpretazione analogica in malam
partem.  A conferma di detto orientamento sono intervenute le sezioni
unite   della   suprema   Corte  che,  con  decisione  resa  in  data
11 settembre  2001,  n. 33543  hanno  indicato  che «L'interrogatorio
dell'indagato,  effettuato  dalla  polizia giudiziaria per delega del
pubblico  ministero  ai  sensi  dell'art. 370 cod. proc. pen., non e'
atto   idoneo  ad  interrompere  il  corso  della  prescrizione,  non
rientrando  nel  novero  degli  atti,  produttivi  di  tale  effetto,
indicati  nell'art. 160,  comma  II,  cod.  pen. e non essendo questi
ultimi  suscettibili di ampliamento per via interpretativa, stante il
divieto di analogia in malam partem materia penale».
    Quanto  precede  rende  evidente che l'efficacia interruttiva del
corso  della  prescrizione  e' dal legislatore affidata, alla stregua
della  interpretazione  che della volonta' del legislatore ne ha dato
il  supremo  organo  regolatore del diritto, unicamente a quegli atti
che,  per  quanto eventualmente nulli, traducano la palese intenzione
dello   Stato,  per  provenire  da  organi  giurisdizionali,  di  non
rinunziare alla pretesa punitiva.
    Puo' dirsi pertanto, che l'intima essenza della individuazione da
parte   del   legislatore  dell'atto  interruttivo  del  corso  della
prescrizione  e  la ratio della previsione vadano individuate proprio
nell'iniziativa   all'assunzione   dell'atto   da  parte  dell'organo
giurisdizionale,   iniziativa  che  traduce  e  palesa  il  permanere
dell'interesse statuale alla pretesa punitiva, organo giurisdizionale
coincidente,  per  la gran parte degli atti tipizzati dal disposto di
cui  al  cpv.  dell'art. 160  c.p.,  con  il  titolare dell'esercizio
dell'azione  penale e delle indagini, ovvero ancora con il g.i.p., il
g.u.p., il giudice del dibattimento.
    Orbene,  nell'ambito  di  tale  sistema organico e bilanciato tra
pretesa punitiva dello Stato, manifestazione di tale pretesa da parte
dell'organo  giurisdizionale  in  grado di esprimere e di palesare la
detta  valonta'  statuale, ed interesse dell'imputato o dell'indagato
al  venir  meno  della  pretesa punitiva per il decorso del tempo, e'
stato  inserito,  con  la  novella  in data 16 dicembre 1999, n. 479,
l'istituto    dell'avviso    di    conclusione    indagini   di   cui
all'art. 415-bis c.p.p.
    Trattasi  di atto ad iniziativa del p.m. con il il quale il detto
organo  comunica  alla  persona  sottoposta  ad  indagini  ed  al suo
difensore  della  conclusione  di  indagini  a  suo  carico, con cio'
formulando   sostanzialmente,   rectius,  anticipando  concretamente,
l'accusa  nei  confronti della persona, dovendo l'avviso contenere la
sommaria  enunciazione  del  fatto  per cui si procede, delle nome di
legge  che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con
le   indicazioni   riferite  alle  indagini  espletate.  Trattasi  di
indicazioni  come  si  e'  detto  sostanzialmente  assimilabili  allo
contestazione del fatto al quale e' formalmente preposta la richiesta
di rinvio a giudizio ovvero gli atti di esercizio dell'azione penale.
    Non  puo'  omettersi  di  osservare  che  l'avviso di conclusione
indagini,  nel sistema delineato dal legislatore del 1999, riveste la
precipua  funzione di avviso all'indagato di quanto fino a quel punto
delle  indagini emerso a suo carico, prima dell'esercizio dell'azione
penale,  e,  quindi,  della  assunzione  della  qualita' di imputato,
specificamente  finalizzata  a  consentire  l'apporto al procedimento
della  voce  dell'indagato  in  chiave  difensiva, al fine di evitare
l'esercizio  dell'azione  penale  e  la  assunzione della qualita' di
imputato  qualora  i fatti indicati dal p.m. possano essere chiariti,
nel  senso della esclusione della loro rilevanza penale, ovvero della
riconducibilita' degli stessi all'indagato, in chiave difensiva.
    Trattasi  comunque  di atto che traduce una sicura iniziativa del
p.m.  nel  senso  palese  del  passaggio  dalla fase delle indagini a
quella dell'esercizio dell'azione penale, dopo che il detto organo ha
valutato  insussistenti  -  fino  a  quel  punto,  ed  in assenza del
contributo dell'indagato - le condizioni per procedere alla richiesta
di archiviazione.
    In definitiva, nel sistema conseguente all'intervento legislativo
comunemente   noto  come  «legge  Carotti»  l'avviso  di  conclusione
indagini si profila come essenziale ed univoco atto di iniziativa del
p.m.  che,  prima  dell'esercizio  dell'azione  penale,  e  proprio e
specificamente  in  vista  dell'esercizio  dell'azione penale stessa,
pena  la nullita', deve comunicare all'indagato ed al suo difensore i
risultati   delle   indagini   con   quella   che   altro  non  e'  -
sostanzialmente  -  che  una  anticipazione  di  quella contestazione
formale   che,   nel   caso   si   dovesse  pervenire  effettivamente
all'esercizio dell'azione penale, si avra' con tale atto.
    Ne  consegue  che, appare incongruo che un tal genere di atto, in
tutto rispondente ai criteri che hanno determinato il legislatore del
1930  ad  individuare  gli  atti  interruttivi  per la loro specifica
natura  di palesare il permanere dell'interesse statuale alla pretesa
punitiva,  non  sia ricompresso nella elencazione di cui all'art. 160
c.p. tra gli atti interruttivi.
    La assenza della indicazione di tale atto nel corpo dell'art. 160
c.p.  puo'  essere  agevolmente spiegata con il mancato coordinamento
tra  la  disposizione  introdotta  nel 1999 con la legge n. 479 ed il
codice di diritto sostanziale.
    Nondimeno,  non  pare  possa  pervenirsi  ad  una interpretazione
estensiva  della norma di cui all'art. 160 c.p., individuando tra gli
atti  interruttivi  del  corso  della  prescrizione anche l'avviso di
conclusione  indagini, risolvendosi l'analogia in una interpretazione
in  malam partem che non pare possa passare attraverso l'applicazione
dell'istituto da parte del giudice di merito.
    Del bel resto la tematica e' stata posta anche innanzi al supremo
Callegio,   pervenendosi   di  fatto  ad  interpretazioni  nettamente
confrastanti,  passandosi da una pronunzia resa da Cass. Pen. Sez. V,
n. 10395 del 16 marzo 2005, con la quale si indicava che «L'avviso di
conclusione  delle  indagini, ex art. 415-bis cod. proc. pen., che il
p.m.  deve  notificare  all'indagato ed al suo difensore, se non deve
formulare   richiesta   di   archiviazione,  e,  quindi,  se  intende
esercitare  l'azione  penale,  costituisce  atto  interruttivo  della
prescrizione,  stante,  il  disposto  dell'art. 160  cod.  pen.,  che
prevede  quale  atto interruttivo «l'invito a presentarsi al p.m. per
rendere  interrogatorio»,  corrispondente  alla  previsione di cui al
citato art. 415-bis nella parte in cui dispone che il suddetto avviso
deve contenere l'avvertimento che «l'indagato ha facolta' di chiedere
di essere sottoposto ad interrogatorio»; ad altra resa da Cass. Pen.,
sez. V, n. 16197 del 29 aprile 2005, in cui si indicava che «L'avviso
di  conclusione  delle indagini preliminari risponde ad una finalita'
eminentemente   informativa,   sicche'   non   puo'  essere  ritenuto
equipollente  agli  atti  interruttivi della prescrizione individuati
tassativamente  dalle  disposizioni dell'art. 160 cod. pen., che sono
insuscettibili  di  applicazione analogica. Infine a Cass. Pen., Sez.
V,  n. 29505  del  4 agosto  2005  a  mente  della quale «L'avviso di
deposito   degli   atti  di  cui  all'art. 415-bis  cod.  proc.  pen.
costituisce  valido atto interruttivo della prescrizione, considerato
che  esso deve, tra l'altro, contenere «L'avvertimento che l'indagato
ha  facolta'  di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio», il
quale  integra  la  causa  interruttiva prevista dall'art. 160, comma
secondo,  cod.  pen.  - costituita dall'invito «a presentarsi al p.m.
per  rendere l'interrogatorio» - originariamente riferibile solo alla
previsione  di  cui  all'art. 375  cod. proc. pen. ed a seguito della
modifica  dell'art. 416,  comma  primo,  cod.  proc.  pen. (novellato
dall'art. 17   della   legge   n. 479   del  1999)  riferibile  anche
all'art. 415-bis cod. proc. pen.».
    Ma  a  ben  vedere,  a parte l'evidente contrasto di orientamenti
riportato,   non   puo'  non  rilevarsi  come  il  supremo  Collegio,
individuata  la  necessita'  di  assimilare  l'avviso  di conclusione
indagini  ad uno degli atti interruttivi di cui all'art. 160 c.p. per
la  evidente  unicita'  di  ratio  e  di  funzioni  tra  l'avviso  di
conclusione   indagini   e   gli  altri  atti  interruttivi  indicati
dall'art. 160   c.p.,   abbia   tentato  di  assimilare  l'avviso  di
conclusione  indagini  agli  atti interruttivi, evitando di pervenire
espressamente  ad  una  analogia  in  malam partem, impossibile nella
interpretazione  della  norma  pena,  e  cio' realizzando mediante la
assimilazione   dell'avvertimento   all'indagato  della  facolta'  di
rendere   interrogatorio,   contenuto   nell'avviso   di  conclusioni
indagini, all'invito a presentarsi al p.m. per rendere interrogatorio
di cui all'art. 375 comma terzo c.p.p., tipizzato dal disposto di cui
al  cpv. dell'art. 160 c.p. tra gli atti interruttivi del corso della
prescrizione.
    Non  puo'  non  rilevarsi  pero' la differenza tra i due istituti
dell'avvertimento  all'indagato che ha facolta' di chiedere di essere
interrogato di cui al comma terzo dell'art. 415-bis c.p.p. e l'invito
a  presentarsi  per  rendere  interrogatorio  di  cui  agli artt. 375
comma III   c.p.p.  e  160  comma II  c.p.  Ed  invero,  a  parte  la
considerazione  che l'essenza dell'avviso di conclusione indagini non
puo'  essere  individuata  in  tale avvertimento, essendo indicate le
reali  funzioni  dell'avviso di conclusione indagini nel disposto del
comma secondo   dell'art. 415-bis   c.p.p.,  laddove  le  indicazioni
riferite   all'avvertimento  alla  facolta'  di  chiedere  di  essere
interrogato  sono poste nel comma terzo dell'art. 415-bis c.p.p., che
declina  le indicazioni che l'avviso deve «altresi» contenere, non vi
e'  chi  non  veda  come  una cosa sia, specie sotto il profilo della
iniziativa  e  dell'interesse  dello  Stato  alla  pretesa  punitiva,
l'invito  a presentarsi per rendere interrogatorio innanzi al p.m. di
cui  all'art. 375,  comma terzo  c.p.p.  altra cosa e' l'avvertimento
all'indagato    che   puo'   chiedere   di   essere   sottoposto   ad
interrogatorio,   tipizzato  dall'art. 415-bis,  comma  terzo  c.p.p.
Peraltro,  la  differenza  tra  i  due  diversi istituti e' del tutto
chiaramente   percepibile   dalla   successiva  disposizione  di  cui
all'art. 416,  c.p.,  che,  nell'indicare  le cause di nullita' della
richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  individua  quella  della mancata
notifica  dell'avviso  di  conclusione indagini e quella della omessa
spedizione   dell'avviso   a   presentarsi   al   p.m.   per  rendere
l'interrogatorio nel caso in cui l'indagato abbia richiesto di essere
interrogato,  con  cio' stesso operandosi nella detta norma una netta
distinzione  tra avvertimento all'indagato della facolta' di chiedere
di   essere   interrogato,   ed  invito  a  presentarsi  per  rendere
interrogatorio.  Piu'  precisamente,  la  nullita' della richiesta di
rinvio  a  giudizio e' in termini espressi comminata unicamente nelle
due   ipotesi   dell'omessa  spedizione  dell'avviso  di  conclusione
indagini  e dell'omesso inoltro dell'invito a presentarsi per rendere
interrogatorio  ai sensi dell'art. 375 comma terzo c.p.p., qualora la
persona  sottoposta  ad indagini abbia richiesto di essere sottoposta
ad interrogatorio.
    Del  resto  la  differenza  tra  invito a presentarsi per rendere
interrogatorio  ed  avvertimento  all'indagato  che  ha  facolta'  di
richiedere   di   essere   interrogato  si  apprezza,  con  specifico
riferimento  alla  permanenza dell'interesse dello Stato alla pretesa
punitiva,  gia' sul piano ontologico: ed invero, ai fini di escludere
l'inerzia  del p.m. rilevante ai fini della individuazione degli atti
interruttivi  del  corso  della prescrizione secondo la ratio imposta
dal  legislatore  del  codice  di diritto sostanziale, una cosa e' da
parte   del  p.m.  invitare  l'indagato  a  presentarsi  per  rendere
interrogatorio, altra e ben diversa e' quella di avvertire l'indagato
che  ha  facolta'  di rendere interrogatorio. Non vi e' chi non veda,
infatti,  come,  invitare  l'indagato  a  rendere  interrogatorio sia
attivita'  che traduce una sicura iniziativa del p.m., che attraverso
l'interrogatorio  dell'indagato intende acquisire elementi valutabili
nel  procedimento, con cio' palesando un sicuro interesse dello Stato
alla  pretesa  punitiva; laddove, invece, avvertire l'indagato che ha
facolta'  di  richiedere  di  essere  interrogato non evidenzia e non
palesa  -  e pertanto sotto tale profilo non puo' essere apprezzato -
alcun  interesse investigativo o comunque processuale o di iniziativa
da  parte dell'organo statuale, trattandosi di un mero atto dovuto di
segnalazione   -   appunto   avvertimento,  come  l'uso  del  termine
suggerisce - in ordine alla informazione all'indagato di una facolta'
che  in nessun caso puo' essere assimilata - proprio sotto il profilo
ontologico   -   ad   iniziativa   del   p.m.   Tanto  che,  esaurito
l'avvertimento,  da  un  lato,  sotto il profilo della iniziativa, e'
l'indagato  a  dover assumere, appunto, l'iniziativa di richiedere di
essere   interrogato;   dall'altro   lato,  sotto  il  profilo  delle
conseguenze  dell'atto,  solo  l'esercizio  della  facolta'  da parte
dell'indagato,   impone   al   p.m.  di  provvedere  alla  spedizione
dell'invito a presentarsi di cui all'art. 375 comma terzo c.p.p.
    Laddove,   invece,   e  per  converso,  sotto  il  profilo  della
iniziativa  del  p.m.  e,  quindi,  della  permanenza (dell'interesse
statuale  alla  pretesa punitiva, sempre sotto il profilo ontologico,
indubbio  ed indiscusso interesse palesa la spedizione dell'avviso di
conclusione  indagini,  atto, pero', come si e' visto, non ricompreso
nella  elencazione  di cui all'art. 160 c.p. in riferimento agli atti
interruttivi  del corso della prescrizione e non individuabile in via
analogica.
    Sulla  scorta  delle  premesse  teoriche  svolte,  ritiene questo
decidente  che la mancata previsione nel disposto di cui all'art. 160
c.p.  dell'avviso di conclusione indagini quale atto interruttivo del
corso della prescrizione, si risolva in una ingiustificata diversita'
di  trattamento  tra situazioni sostanzialmente identiche per ratio e
natura, rilevante ex art. 3 e 111 Cost.
    Ed  invero,  sul presupposto indicato nel disposto di cui al cpv.
dell'art. 111  Cost.  di  uguaglianza  delle  parti  del procedimento
davanti  al  giudice  terzo  ed  imparziale,  non puo' non accordarsi
analoga  parita'  anche  ad  una  parte del procedimento, quale e' il
p.m., in riferimento a situazioni sostanzialmente analoghe.
    L'escludere,  infatti,  dal  novero  degli  atti interruttivi del
corso  della prescrizione un atto di iniziativa tipicamente del p.m.,
in  tutto  identico  quanto  a  natura  e  funzioni  in riguardo alla
prescrizione, agli altri atti tipici indicati dall'art. 160 c.p., nel
senso  di atto anche questo che palesa univocamente l'interesse dello
Stato   alla   pretesa  punitiva,  quale  e',  appunto,  l'avviso  di
conclusione  indagini di cui all'art. 415-bis c.p., si risolve in una
ingiustificata   disparita'   di   trattamento   tra   le  parti  del
procedimento,   realizzandosi   concretamente  la  prevalenza  tra  i
contrastanti   interessi  rappresentati  dall'imputato/indagato  alla
estinzione   del   reato  per  decorso  del  tempo,  e  dallo  Stato,
impersonato  dal  p.m.  che  quell'inerzia  e  quel disinteresse alla
pretesa  punitiva  non ha palesato, anzi ha inteso contrastate, tanto
da   notificare  all'indagato  l'atto  strettamente  propedeutico  ed
assolutamente    preliminare    all'esercizio    dell'azione   penale
rappresentato   dall'avviso   di   conclusione  indagini,  in  favore
dell'indagato  a  discapito  dell'altra parte processuale e cioe' del
p.m.
    Ritiene  questo  decidente  che  la  situazione  innanzi indicata
integri   proprio   una   disparita'  di  trattamento  tra  le  parti
processuali  in  aperto  contrasto  con  l'espresso  disposto  di cui
all'art. 111  comma II Cost., che appunto quella assoluta uguaglianza
tra  le  parti  del  procedimento sancisce, anche in adesione al piu'
generale principio di cui all'art. 3 Cost.
    Quanto ai limiti del giudizio di costituzionalita' in riguardo ai
parametri  della  rilevanza  della  questione  e della fondatezza, va
osservato  che,  sotto  il  primo  dei  segnalati  profili,  la detta
rilevanza  si  coglie  pienamente ove si consideri che e' in corso di
celebrazione  l'udienza  preliminare  e si verte in fase di decisione
sulla richiesta di rinvio a giudizio articolata dal p.m., dopo che si
e'  gia'  svolta  la  discussione  delle parti. A mente dell'art. 425
c.p.p., qualora sussista una causa che estingue il reato - e tale non
puo' non essere la prescrizione invocata dai difensori degli imputati
-  questo  giudice  dovrebbe  pronunziare  sentenza  di  non  luogo a
procedere per tale causa.
    Nel  caso concreto, indipendentemente dalle valutazioni di merito
che attengono alla fondatezza della richiesta del p.m., e che saranno
valutate  successivamente,  le  questioni che riguardano la eventuale
esistenza  di  cause  di estinzione del reato devono essere - qualora
esistenti - immediatamente dichiarate.
    La  invocata  esistenza  della  causa  di  estinzione  del  reato
costituita  dalla prescrizione in riguardo alle fattispecie sub A-B-C
ha immediata e diretta rilevanza sul giudizio in corso, in definitiva
dalla  stessa  dipendendo  la  stessa esistenza del reato e la stessa
prosecuzione del giudizio penale.
    La  richiesta  di rinvio a giudizio degli imputati e' stata messa
dal  p.m.  in data 30 novembre 2005, con timbro di visto da parte del
procuratore  aggiunto in data 1° dicembre 2005. A quella data i reati
di  cui  ai  capi  A-B-C  risultavano,  nel  nuovo  ed immediatamente
successivo   assetto   legislativo   sopra  richiamato,  estinti  per
prescrizione  in  assenza  di  precedenti  atti interruttivi, essendo
stati   consumati  alle  date  del  26  luglio  1999  (capo  A),  del
24 settembre  1999  (capo  B), del 7 ottobre 1999 (capoC). Qualora si
riconnettesse efficacia interruttiva della prescrizione all'avviso di
conclusione  indagini,  emesso  dal  p.m.  in  data 8 aprile 2005, si
sarebbe   verificato   prima  del  maturarsi  del  termine  breve  di
prescrizione   un  atto  interruttivo  del  decorso  dei  termini  di
prescrizione  che  imporrebbe  di considerare alla data odierna e per
altro tempo ancora i reati non estinti per prescrizione.
    Consegue,  quindi, che sulla tematica come sopra svolta, assoluta
pertinenza   e   preliminare  preponderanza  assume  il  giudizio  di
costituzionalita' dell'organo costituzionale a cio' preposto.
    Quanto  alla  fondatezza,  si  e'  gia' riferito sopra nell'esame
della questione, peraltro proposta d'ufficio da questo giudice.
    Considerata   pertanto   la   questione   sopra   esaminata   non
manifestamente   infondata   e  rilevante  nell'ambito  del  presente
procedimento,  consegue doverosamente l'inoltro degli atti alla Corte
costituzionale per la risoluzione.